150 anniversario dell'Unità d'Italia...non fiori ma opere di bene...

mercoledì 9 febbraio 2011

“Fra le Memorie e documenti inediti" 21 settembre 1870

Una pagina interessante dell'epoca risorgimentale e della storia del nostro paese emerge da un articolo che fotografa una Roma dal potere temporale dei Papi al potere dello Stato.

Tra gli altri articoli che si richiamano agli avvenimenti dell’Unità d’Italia ho trovato un documento inedito pubblicato in forma tascabile fuori commercio, stampato a Roma nell’aprile del 1961 in occasione del primo Centenario dell’Unità d’Italia a cura dell’ente nazionale biblioteche popolari e del ministro della pubblica istruzione del 1961 sen. Giuseppe Medici.

L’articolo, scritto dal giornalista Ugo Pesci (Firenze, 1842 - Bologna, 1908) non rivela notizie nuove o sconosciute, ma una preziosa fonte di testimonianza di com’era Roma in quel periodo, una narrazione semplice e popolare..

(Testo trascritto integralmente)

"GLI ITALIANI A ROMA Piazza San Pietro e il Vaticano".

Forse nessuno ha veduto la piazza di San Pietro e l'esterno del Vaticano nelle circostanze nelle quali io li vidi la prima volta, la mattina del 21 settembre 1870.

La sera prima, dopo le 11, incontrato Edmondo De Amicis nel caffè di piazza Colonna ribattezzato quel giorno con il nome di Cavour, trovata per caso una botte (carrozza con cavallo) vicino a piazza Venezia, allontanandoci dal festoso baccano delle vie principali, eravamo andati fino al Foro Romano ed al Colosseo, passando sotto il Campidoglio, attoniti dinanzi alla grandiosità degli avanzi di Roma antica, che ci appariva anche più solenne nel silenzio e nella oscurità della notte.
La mattina dopo, uscito di buon'ora dall'albergo d'Europa, salii in un'altra botte in piazza di Spagna e dissi al bottaio di accompagnarmi in piazza San Pietro.
II bottaro mi guardò sorpreso, e convintosi subito che non ero romano, mi disse in pretto abruzzese: « “Signurì... là ce stanno ancora li caccialepri!” (le guardie papaline)

Ma avendo ìo insistito, s’avvio per via Condotti, via Fontanella di Borghese, via dell'Orso; passò davanti all'antico albergo omonimo, nel quale il Montaigne alloggiò nel 1581, e sboccò di faccia alla mole Adriana lasciandosi dietro l'ora scomparso teatro Apollo.
A ponte San Angelo, sulla riva sinistra del Tevere, era di guardia una compagnia del 21" battaglione bersaglieri comandata dal capitano Boyer, un valoroso ufficiale piemontese, col petto coperto di medaglie, che a Firenze, da dove era venuto il battaglione, chiamavano il « capitano Fanfulla ».
Egli aveva la consegna di non lasciar passare il ponte a soldati, e di non permettere che si avvicinassero alla riva sinistra i pontifici, che si vedevano affollati dietro un cancello, dall'altra parte del ponte, all'ingresso di Castel Sant'Angelo allora forte e caserma.
Boyer volle dissuadermi dal proseguire; ma non l'ascoltai.
M'ero messo in testa di vedere che cosa accadeva nella così detta città Leonina: almeno in apparenza, ero un cittadino contro la cui libera circolazione non poteva esistere alcuna consegna, poiché altra gente andava e veniva per il ponte da una parte e dall'altra.
Passai davanti al cacciatore estero di sentinella al castello, infilai per Borgo, incontrando soldati papalini di varie specie, e domestici in livrea cardinalizia che parevano affrettarsi alla ricerca di un rifugio sicuro.

Le botteghe dei coronari erano semi aperte, e le cicoraie offrivano la toro fresca ed umida mercanzia alle donnette che uscivano da Santa Maria in Trasportina affrettando il passo.
Giunto in piazza Rusticucci sì presentò allo sguardo tutta la maestà della Basilica Vaticana e del palazzo pontificio: ma da quella prima impressione subito ne distrasse un altro spettacolo, davvero noti altrettanto maestoso, ma curioso e strano, tutt'intorno al porticato del Bernini e lungo la gradinata di San Pietro erano schierati fra i 5000 ed i 6000 uomini di varie truppe, che vi avevano bivaccato durante la notte: una batteria da campagna, con gli avantreni staccati ed i pezzi rivolti contro la città, stava davanti all'obelisco; il reggimento Zuavi davanti al portico a sinistra di chi guarda verso la facciata, al di là della fontana.

Le truppe a piedi avevano fatto i fasci d'armi, presso i quali si aggruppavano disordinate; un drappello di dragoni era appiedato con ì cavalli alla mano: sotto il portico fumavano qua e là nereggianti avanzi di legna bruciata, servita per il caffè od un primo rancio.

Molto avanti, verso piazza Rusticucci, erano riuniti parecchi ufficiali: altri gruppi se ne vedevano qua e là dispersi nel vastissimo spazio.
Non v'era, oltre i soldati, anima viva in tutta la piazza. Il bottaro, punto incoraggiato da quello spettacolo, aveva rallentato il trottarello della sua brenna: e poi si fermò addirittura col pretesto di domandarmi dove volessi andare.
Per non fare ruta vergognosa ritirata, lo tenni lì fermo a chiacchierare per due o tre minuti, durante i quali detti i n'occhiata distratta alla fcciata e alla cupola di Michelangelo, alla facciata del palano che appare di sghembo al di là del portico del Nonnini: poi dissi ai bottaro, di tornare indietro, ed egli si affrettò a coltane, frustando con entusiasmo la povera bestia sorpresa dall'ingiustificato maltrattamento.

Tornai, dopo tre o quattro giorni, in piazza San Pietro; visitai la Basilica nella quale entravano a flotte, e passeggiavano riverenti ed a bocca aperta per lo stupore quei buoni ragazzi de' nostri soldati: girai di fuori intorno al palazzo ed ai giardini corno allora si poteva, perché il quartiere dei Prati era una vasta estensione di ortaglie e di terreni abbandonati mal praticabile.

Visitai la Pinacoteca, le logge di Raffaello, i Musei, la Sistina, entrando in Vaticano con uno dei tanti biglietti rilasciati in quei giorni dal maestro dei Sacri palazzi apostolici alle nostre autorità militari, ed intestati al tenente colonnello Montreal del 57" fanteria, a cui non ho mai capito perché fosse toccato d'essere il gerente responsabile di tutti i visitatori del Vaticano.


Alcun tempo dopo potei anche procurarmi il permesso speciale necessario per visitare altre parti del palazzo, nascosto a chi è semplicemente munito di un biglietto ordinario: entrai ossequiato dagli svizzeri di guardia alla porta di bronzo, visitai i giardini, potei accompagnarmi a comitive di pellegrini, ed assistere ad alcuni solenni ricevimenti di Pio IX nella Sala Ducale.

Non ho mai verificato se esistano davvero in Vaticano 11.000 stanze; non ho mai contato le grandi sale e neppure i cortili; non ho mai misurato a passi i più lunghi corridoi come fanno le belle americane per verificare le indicazioni delle « guide ».
Ma il palazzo, o meglio dire quell'ammasso di palazzi, costruiti e sovrapposti l'uno all'altro in tempi tanto diversi, mi ha sempre fatto, rivedendolo, una maggiore impressione di grandiosità e d'imponenza.

Non ho mai veduto la residenza del Dalai Lama del Tibet, il palazzo di Potala in fama d'esser uno dei più grandi edifici de mondo; forse non l'hanno veduto neppure tutti coloro che hanno la pazienza di leggere questo libro, ma senza averlo veduto, si può scommettere che, se pur misurandolo a metri il palazzo di Lhasa ha dimensioni maggiori del Vaticano, non è davvero altrettanto imponente e grandioso.

Quando poi si pensa alle meraviglie dell'arte contenute nella residenza del pontefice romano; all'infinito popolo di statue che vi tiene stanza; ai sorprendenti monumenti di tutte le civiltà che vi hanno raccolto vani pontefici; al numero enorme di artisti insigni che hanno collaborato ad edificarla, ad ampliarla, ad ornarla di capolavori unici al mondo; si finisce per acquistare la immutabile convinzione che tutta questa inarrivabile magnificenza è stata creata ed esiste in forza di una idea veramente immensa; di tale immensità che sfugge alle nostre piccole menti critiche, e che l'ostentato disprezzo di chi non è arrivato neppure a comprenderne la grande importanza storica, rende anche più gigantesca...

Ugo Pesci.