150 anniversario dell'Unità d'Italia...non fiori ma opere di bene...

domenica 12 dicembre 2010

Una bella provocazione

DAL BLOG DI BEPPE GRILLO DEL 9 DICEMBRE 2010

Nello sfascio generale politico ed economico è scomparso dall'agenda il 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia del 2011.
Nessuno ne parla più, sembra un evento dello scorso anno, una rivista vecchia dimenticata dal barbiere.
La ricorrenza non è ancora stata celebrata, eppure sembra già trapassata. Può essere che le Istituzioni si vergognino e sperino che la nascita dello Stato unitario passi in silenzio, scivoli via dal calendario.
Gli italiani del resto se pensano alle Istituzioni hanno un conato di vomito e una voglia irrefrenabile di emigrare. Vederle identificate con l'Italia è una provocazione, un'istigazione alla secessione.
Il 2011 è invece un'opportunità, un'occasione unica per fare la Storia d'Italia, non quella del trio Cavour-Garibaldi-Vittorio Emanuele II con la ruota di scorta di Mazzini e dei plebisciti fasulli che legittimavano i Savoia, ma la Storia degli eccidi nel Sud, delle occupazioni nel Nord, dei cannoni dei regnanti contro i contadini inermi che protestavano per la tassa sul macinato, delle emigrazioni forzate di milioni di veneti e di meridionali per le Americhe, unica possibilità rimasta per non morire di fame.
Il 2011 può essere dedicato alla Storia dell'annessione dei popoli italici da parte dei Savoia, della predazione delle casse degli Stati occupati, dal Regno dei Borbone allo Stato Pontificio.
Capitali necessari al Regno di Sardegna, notoriamente con le pezze al culo, per non dichiarare bancarotta, alle centinaia di migliaia di patrioti chiamati "briganti" fucilati da Cialdini con le loro teste mozzate fotografate ed esibite sui giornali dell'epoca. Persino l'Unione Sovietica ai tempi di Krusciov è riuscita a mettere in discussione le menzogne dello stalinismo, in Italia ci si culla ancora nell'idea del Risorgimento e del grido di dolore accolto da Vittorio Emanuele II. Le mafie sono un frutto dell'occupazione del Sud, prima erano un fenomeno fisiologico, con i Savoia sono diventate uno strumento di gestione del potere. Garibaldi disse "Qui si fa l'Italia o si muore", per fare veramente l'Italia bisogna ripartire dalle sue radici e quindi "Qui si disfa l'Italia o si muore".
Le piazze d'Italia sono piene di lapidi celebrative delle tre guerre d'indipendenza, di quelle mondiali, alcune anche di quelle coloniali e di quella civile del 1945/46.
Da 150 anni siamo in guerra, anche con noi stessi, per affermare un'identità che non abbiamo. Siamo come l'isola che non c'è di Peter Pan: "E a pensarci, che pazzia/è una favola, è solo fantasia/e chi è saggio, chi è maturo lo sa/ non può esistere nella realtà!", uno Stato che non c'è, visto come greppia o tenuto a distanza con diffidenza.
Un'espressione geografica che ospita le tre più potenti organizzazioni criminali del pianeta, indifferente a quarant'anni di stragi in cui lo Stato era complice o assente, con centinaia di morti tra giudici, giornalisti, politici, amministratori pubblici.
Un luogo che sta cadendo a pezzi in cui molte Regioni non vedono l'ora di un liberatorio "Sciogliete le fila" e ritornare ad essere Repubblica di Venezia con i suoi mille anni di Storia, la Repubblica di Genova, lo Stato delle Due Sicilie, Stato legittimo invaso con le armi, o annessi alla Francia da parte della Valle d'Aosta o all'Austria del Sud Tirolo.
Non sono ipotesi, ma la cruda realtà. E' necessario rivedere il nostro passato e dimenticare il "glorioso" Risorgimento per rimanere insieme in una federazione di Stati, simili a quelli pre unitari, ognuno con la sua Storia e la sua autonomia.


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La riflessione di Grillo “Stati Uniti d’Italia” merita un approfondimento.
Vero che l'Unità d’Italia la volevano una ristretta cerchia di intellettuali, la monarchia illuminata.
Alla stragrande maggioranza della popolazione il problema era sconosciuto.
I braccianti e contadini meridionali manco sapevano cosa fosse l'Italia. Trovo sconcertante riproporre la Repubblica di Venezia, la Repubblica di Genova, lo Stato delle Due Sicilie, dimenticando il vero e più autentico e grande risultato del Risorgimento: La presa di Roma nel 1870, nota anche come Breccia di Porta Pia, che decretò la fine dello Stato Pontificio e del potere temporale dei Papi.
Forse Grillo lo ha dimenticato?

lunedì 20 settembre 2010

Laicità e breccia di Porta Pia dimenticate, rimosse dalla cultura e dai programmi…






"L'Italia si è desta, svegliate Roma!".

Era il 20 settembre del 1870
quando i bersaglieri - urlando questa frase - entrarono a Roma grazie a
una breccia di 30 metri, occupando la città che fu poi annessa al Regno
d'Italia.
Quel giorno decretò la fine dell'immenso Stato pontificio e del
potere temporale dei Papi.

Ricordare quel giorno, quel tempo, quei martiri sacrificatisi per la Libertà dalla schiavitù della clericocrazia significa capire la concezione moderna di Stato su una visione medioevale di Stato clericale.

Oggi a distanza di 137 anni i politici italiani hanno dimenticato la
lezione di Cavour ( la separazione fra Stato e chiesa, laicità ), hanno
dimenticato cosa significa uno Stato indipendente dalla Chiesa.....

domenica 28 marzo 2010

NOI ITALIANI SENZA MEMORIA

Il modo in cui il Paese si appresta a celebrare nel 2011 il 150° anniversario della sua Unità indica alla perfezione quale sia l' immagine che la classe politica - tutta, di destra e di sinistra, senza eccezioni (nonché, temo, anche la maggioranza dell' opinione pubblica) - ha ormai dell' Italia in quanto Stato nazionale e della sua storia.

Un' immagine a brandelli e di fatto inesistente: dal momento che ormai inesistente sembra essere qualsiasi idea dell' Italia stessa.
Leggere per credere. Tutto inizia nel 2007, quando per l' appunto si deve decidere che cosa fare per le celebrazioni del 2011.
In altri Paesi si penserebbe, per esempio, ad allestire una mostra memorabile, a mettere in piedi un grande museo della storia nazionale (siamo tra i pochi che non ne hanno uno), a costruire una grande biblioteca (Dio sa se ce ne sarebbe bisogno) o qualcos' altro di simile.
Da noi invece no.
Da noi il governo Prodi decide che il modo migliore di celebrare l' Unità d' Italia sia quello che lo Stato finanzi, insieme agli enti locali, undici opere pubbliche in altrettante città della Penisola.

Opere pubbliche di ogni tipo, così come viene, senza alcun nesso con il tema dell' unità: da un nuovo Palazzo del Cinema e dei Congressi al Lido di Venezia, al completamento dell' aeroporto a Perugia, dalla realizzazione di un Parco costiero del Ponente ligure ad Imperia, a un Auditorium con relativa delocalizzazione del campo di calcio a Isernia, a un Parco della Musica e della Cultura a Firenze, e così via nel mare magnum dei bisogni effettivi o magari della megalomania dei mille luoghi del Bel Paese.
Solo Torino e il Piemonte, non dimentichi della loro storia, mettono a punto in modo autonomo un programma di celebrazioni inerenti realmente all' evento storico di cui si tratta.
Ma, ripeto, in modo autonomo e come iniziativa locale, anche se con lodevole e forte apertura alla storia nazionale.
Così come solo il Ministero dell' Istruzione trova il modo di celebrare l' anniversario varando un progetto di portale didattico on line sul Risorgimento. Dopo pochi mesi, comunque, nel febbraio del 2008, al «programma infrastrutturale» iniziale degli undici progetti ora detti il governo Prodi aggiunge altri quattordici «interventi infrastrutturali di completamento».

Di nuovo c' è di tutto: restauri di questo o quell' edificio (il teatro D' Annunzio a Pescara, Palazzo D' Accursio a Bologna, la Rocca della cittadella ad Ancona), ma anche numerose incursioni nel bizzarro spinto: per esempio la realizzazione di un Herbariun Mediterraneum, di cui pare che senta un vivissimo bisogno la città di Palermo, o la realizzazione di un Centro Culturale della Mitteleuropa per la maggiore soddisfazione degli abitanti di Udine. E' inclusa perfino la costruzione della nuova sede dell' Istat a Roma.
Ma messe così le cose, pure ai ministri di Prodi esse devono essere sembrate un pò troppo grigie e anonime. Alla retorica nazionale non si poteva negare qualche lustrino, qualche «nome» da esibire.

Detto fatto, ecco allora istituito un pomposo Comitato dei Garanti. Cioè tre-quattro decine di persone, presunte incarnazioni di altrettante «personalità», alla cui presidenza viene chiamato il Presidente emerito Ciampi.
Ma alle quali, naturalmente nessuno, in tutto questo tempo, si cura di indicare con un minimo di precisione che cosa mai debbano «monitorare» e «verificare», in sostanza che cosa diavolo ci stiano a fare, a che cosa servano. Sono «garanti», tant' è: non gli basta un simile onore? E infatti non risulta che riescano a dire una parola su nulla. Tuttavia, per quanto sembri incredibile, non siamo ancora alla fine.

Ulteriori proposte di «interventi infrastrutturali» incalzano, infatti, e anche questi progetti ottengono il loro bravo cofinanziamento statale: sempre in nome, naturalmente, del 150° anniversario dell' Unità.

Questa volta però nelle funzioni di «grande elemosiniere» invece del governo Prodi c' è il governo Berlusconi.
Ecco dunque il Comune di Roma che con 40 milioni promette di sistemare a nuovo il Palazzo degli esami di via Induno; Latina, che riceve 3 milioni di euro per la riconversione dell' ex Caserma dell' 82° fanteria da adibire a campus universitario; il comune di Moasca (Asti), che si accontenta di 500 mila per il completamento del restauro del suo castello; Catania, che con 150 mila euro vuole rendere accessibile l' Orto botanico ai «non vedenti e ipovedenti»; Magenta, che si prende i suoi 22 milioncini per collegare con piste ciclabili «le vie della battaglia di Magenta»,così via molti altri.

Ma oltre a fare anche lui, sebbene in tono minore data la crisi economica, la sua distribuzione di soldi in tutto e per tutto analoga a quella realizzata dal governo di sinistra, il governo di destra compie un altro atto memorabile.
Ai membri del Comitato dei Garanti designati dal suo predecessore ne aggiunge altri sette-otto: ma anche questi - essendo uno dei prescelti posso dirlo con cognizione di causa - finora non riescono a servire a nulla (anche se almeno non costano nulla).
E di sicuro le cose continueranno così anche se oltre tre mesi fa il presidente Ciampi ha scritto al ministro Bondi per sollecitarlo a elaborare finalmente un «programma di iniziative da attuare per la ricorrenza». Ma con quanto tempo a disposizione oramai? E con quali finanziamenti, dal momento che ne sono già stati impiegati tanti per tutte le cose fin qui dette?

La conclusione, al momento attuale, è che per ricordare la propria nascita lo Stato italiano nel 2011 non farà nulla: nulla di pensato appositamente, voglio dire, con un rapporto diretto rispetto all' evento. Si limiterà a qualche discorso .
Il punto drammatico sta nella premessa di tutto ciò.
Nel fatto evidente che la classe politica sia di destra sia di sinistra, messa di fronte a uno snodo decisivo della storia d' Italia e della sua identità, messa di fronte alla necessità di immaginare un modo per ricordarne il senso e il valore - e dunque dovendosi fare un' idea dell' uno e dell' altro, nonché di assumersi la responsabilità di proporre tale idea al mondo, e quindi ancora di riconoscersi in essa - non sa letteralmente che cosa dire, che partito prendere, che idea pensare.
E non sa farlo, per una ragione altrettanto evidente: perché in realtà essa per prima non sa che cosa significhi, che cosa possa significare, oggi l' Italia, e l' essere italiani.
Quella classe politica fa di conseguenza la sola cosa che sa fare e che la società italiana in fondo le chiede: distribuire dei soldi.

A pioggia, senza alcun criterio ideale o pratico, in modo da soddisfare le esigenze effettive, i sogni, le ubbie, dei mille localismi, dei mille luoghi e interessi particolari in cui ormai sempre più consiste il Paese. Cioè consistiamo noi.
«A te un campus, a te una circonvallazione, a te un palazzo per qualche cosa»: l' unico scopo che ci tiene insieme sembra essere oramai quello di spartirci il bilancio dello Stato, di dividerci una spoglia.
M' immagino come se la deve ridere tra sé e sé il vecchio principe di Metternich, osservando lo spettacolo: non l' aveva sempre detto, lui, che l' Italia non è altro che un' espressione geografica?
Ernesto Galli Della Loggia.
(20 luglio 2009) - Corriere della Sera

150 anniversario dell'Unità d'Italia... non fiori ma opere di bene...











Tra il 1931 e il 1937 venne realizzato l’imponente rimaneggiamento e rifacimento di via Roma, (situata tra le Piazze Castello e S.Carlo) l’antica Via Nuova realizzata tra il Cinquecento e il Seicento quale asse portante della città Barocca in formazione negli stessi anni.

Il progetto , che seguiva uno stile fascista nazionale, affondava le sue radici nei temi della romanità e classicità, facendosi scempio di tutto lo splendido equilibrio armonico e architettonico del Barocco presente, in cui venivano utilizzati materiali del tutto diversi.

Furono tagliate le colonne originali dove poggiavano gli archi e sostituite con marmo nero.
Nello stesso periodo, le ragioni del regime imposero la costruzione della torre littoria cittadina, ovvero il “grattacielo” , che si contrapponesse all’immagine barocca di piazza del Castello, segno inequivocabile all’interno della città stessa.

La torre suscitava in quel periodo un grande entusiasmo; essa diventava un nuovo simbolo della Torino moderna e fascista, in contrapposizione alla Mole Antonelliana, “specchio del modernismo del basso ottocento” .

Dopo questi brevi cenni storico-architettonici , sono qui a proporre umilmente di investire parte delle risorse per celebrare il 150° dell’unità nazionale nella maniera migliore impiegandole per riportare alle origini Sabaude i portici tra Piazza Castello e Piazza S. Carlo.

Inutile far notare che i finanziamenti destinati per l’evento a livello Nazionale sono quasi di 3 miliardi e mezzo…..